Canto I


I TEMI:

Il peccato, I vizi, La guida spirituale, Il viaggio nell' oltretomba, La profezia

PECCATORI:

Non battezzati

PENA:

Nessuna, si trovano all'inferno in quanto il peccato originale gli impedisce l'accesso al Paradiso


QUANDO?

Tra la notte del giovedì santo, 7 aprile 1300, e l'alba del venerdì santo, 8 aprile 1300

DOVE?

La selva oscura, simbolo del peccato.

CHI?

Dante; Virgilio; Le tre fiere.                                                                                                                                  .         



Canto:

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita. 3


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura! 6


Tant'è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,

dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte. 9


Io non so ben ridir com'i' v'intrai,

tant'era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai. 12


Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,

là dove terminava quella valle

che m'avea di paura il cor compunto, 15


guardai in alto e vidi le sue spalle

vestite già de' raggi del pianeta

che mena dritto altrui per ogne calle. 18


Allor fu la paura un poco queta,

che nel lago del cor m'era durata

la notte ch'i' passai con tanta pieta. 21


E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva,

si volge a l'acqua perigliosa e guata, 24


così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,

si volse a retro a rimirar lo passo

che non lasciò già mai persona viva. 27


Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,

ripresi via per la piaggia diserta,

sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso. 30


Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,

una lonza leggera e presta molto,

che di pel macolato era coverta; 33


e non mi si partia dinanzi al volto,

anzi 'mpediva tanto il mio cammino,

ch'i' fui per ritornar più volte vòlto. 36


Temp'era dal principio del mattino,

e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle

ch'eran con lui quando l'amor divino 39


mosse di prima quelle cose belle;

sì ch'a bene sperar m'era cagione

di quella fiera a la gaetta pelle 42


l'ora del tempo e la dolce stagione;

ma non sì che paura non mi desse

la vista che m'apparve d'un leone. 45


Questi parea che contra me venisse

con la test'alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l'aere ne tremesse. 48


Ed una lupa, che di tutte brame

sembiava carca ne la sua magrezza,

e molte genti fé già viver grame, 51


questa mi porse tanto di gravezza

con la paura ch'uscia di sua vista,

ch'io perdei la speranza de l'altezza. 54


E qual è quei che volontieri acquista,

e giugne 'l tempo che perder lo face,

che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista; 57


tal mi fece la bestia sanza pace,

che, venendomi 'ncontro, a poco a poco

mi ripigneva là dove 'l sol tace. 60


Mentre ch'i' rovinava in basso loco,

dinanzi a li occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco. 63


Quando vidi costui nel gran diserto,

"Miserere di me", gridai a lui,

"qual che tu sii, od ombra od omo certo!". 66


Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,

e li parenti miei furon lombardi,

mantoani per patrïa ambedui. 69


Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,

e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto

nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72


Poeta fui, e cantai di quel giusto

figliuol d'Anchise che venne di Troia,

poi che 'l superbo Ilïón fu combusto. 75


Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte

ch'è principio e cagion di tutta gioia?". 78


"Or se' tu quel Virgilio e quella fonte

che spandi di parlar sì largo fiume?",

rispuos'io lui con vergognosa fronte. 81


"O de li altri poeti onore e lume,

vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore

che m' ha fatto cercar lo tuo volume. 84


Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,

tu se' solo colui da cu' io tolsi

lo bello stilo che m' ha fatto onore. 87


Vedi la bestia per cu' io mi volsi;

aiutami da lei, famoso saggio,

ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi". 90


"A te convien tenere altro vïaggio",

rispuose, poi che lagrimar mi vide,

"se vuo' campar d'esto loco selvaggio; 93


ché questa bestia, per la qual tu gride,

non lascia altrui passar per la sua via,

ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide; 96


e ha natura sì malvagia e ria,

che mai non empie la bramosa voglia,

e dopo 'l pasto ha più fame che pria. 99


Molti son li animali a cui s'ammoglia,

e più saranno ancora, infin che 'l veltro

verrà, che la farà morir con doglia. 102


Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapïenza, amore e virtute,

e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105


Di quella umile Italia fia salute

per cui morì la vergine Cammilla,

Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108


Questi la caccerà per ogne villa,

fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,

là onde 'nvidia prima dipartilla. 111


Ond'io per lo tuo me' penso e discerno

che tu mi segui, e io sarò tua guida,

e trarrotti di qui per loco etterno; 114


ove udirai le disperate strida,

vedrai li antichi spiriti dolenti,

ch'a la seconda morte ciascun grida; 117


e vederai color che son contenti

nel foco, perché speran di venire

quando che sia a le beate genti. 120


A le quai poi se tu vorrai salire,

anima fia a ciò più di me degna:

con lei ti lascerò nel mio partire; 123


ché quello imperador che là sù regna,

perch'i' fu' ribellante a la sua legge,

non vuol che 'n sua città per me si vegna. 126


In tutte parti impera e quivi regge;

quivi è la sua città e l'alto seggio:

oh felice colui cu' ivi elegge!". 129


E io a lui: "Poeta, io ti richeggio

per quello Dio che tu non conoscesti,

acciò ch'io fugga questo male e peggio, 132


che tu mi meni là dov'or dicesti,

sì ch'io veggia la porta di san Pietro

e color cui tu fai cotanto mesti". 135


Allor si mosse, e io li tenni dietro.


Parafrasi:

A metà del percorso della vita umana (all'età di 35 anni), mi ritrovai per una oscura foresta, poiché avevo smarrito la giusta strada




Ahimè, è difficile descrivere com'era quella foresta, selvaggia, inestricabile e tremenda, tale che al solo pensiero fa tornare la paura.



È così spaventosa che la morte lo è poco di più: ma per descrivere il bene che vi trovai dentro, dirò quali altre cose ho visto in essa.




Non sono in grado di spiegare come vi sia entrato, tanto ero pieno di sonno nel momento in cui lasciai la giusta strada.



Ma dopo che fui arrivato ai piedi di un colle, là dove finiva quella valle che mi aveva rattristato il cuore di paura, 



alzai lo sguardo e vidi la sua vetta già illuminata dai raggi del sole, che conduce ogni uomo sulla giusta strada.




Allora si placò un poco la paura che avevo avuto nel profondo del cuore, quella notte che trascorsi con tanta angoscia.




E come il naufrago che col respiro affannoso, gettato dal mare sulla riva, si volta e guarda alle acque pericolose da cui è scampato, 



così il mio animo, che ancora era in fuga, si voltò indietro ad osservare il passaggio che non lasciò mai passar vivo nessun uomo




Dopo che ebbi riposato un poco il corpo stanco, ripresi a camminare lungo il pendio deserto del colle, in modo tale che il piede più saldo era sempre quello più basso



Ed ecco che apparve, quasi all'inizio della salita, una lonza snella e molto agile, ricoperta di pelo maculato; 



e non si allontanava di fronte a me, anzi, impediva a tal punto il mio cammino che io pensai più volte di tornare indietro.




Erano le prime ore del mattino, e il sole stava sorgendo insieme a quella costellazione (l'Ariete) che era con lui il giorno della Creazione, quando l'amore divino 



mosse per la prima volta quelle belle cose; così l'ora del giorno e la stagione primaverile mi davano buoni motivi per sperare bene a proposito di quella belva dalla pelle chiazzata;


ma non al punto che non mi desse paura la vista, che mi apparve subito dopo, di un leone




Questi sembrava venire contro di me, con la testa alta e con fame rabbiosa, al punto che persino l'aria sembrava tremare.




Ed ecco apparire una lupa, che nella sua magrezza sembra piena di tutti i desideri e spinse molte persone a vivere miseramente;



questa mi procurò una tale angoscia, col terrore che mi ispirava il suo aspetto, che persi la speranza di raggiungere la sommità del colle.



E come colui che acquista volentieri, e poi arriva il tempo in cui perde ogni cosa, per cui piange e si rattrista in ogni pensiero, 



così mi rese la belva senza pace, che venendo contro di me mi sospingeva poco a poco verso il basso, dove non c'era il sole.



 

Mentre io scivolavo a valle, verso la foresta, apparve davanti ai miei occhi qualcuno che non riuscivo a vedere bene per la penombra.



Quando vidi costui nel luogo deserto, gli gridai: «Abbi pietà di me, chiunque tu sia, un'anima o un uomo in carne e ossa



Mi rispose: «No, non sono un uomo, lo sono già stato, e i miei genitori furono della Lombardia, entrambi nativi di Mantova.




Nacqui sotto il governo di Giulio Cesare, anche se negli ultimi anni, e vissi a Roma sotto il governo del buon imperatore Augusto, al tempo degli dei pagani.



Fui poeta, e cantai di quel giusto figlio di Anchise (Enea) che fuggì da Troia dopo che il superbo Ilio (Troia) fu bruciato.




Ma tu, perché ritorni al male della foresta? Perché non scali il colle gioioso, che è principio e causa di ogni felicità?»




«Allora tu sei quel Virgilio e quella sorgente che spande un così largo fiume di parole?» gli risposi vergognandomi.



«O tu che sei luce e guida degli altri poeti, mi siano di aiuto il lungo impegno e il grande amore che mi hanno spinto a leggere la tua opera!



Tu sei il mio maestro e il mio modello; tu sei il solo da cui io trassi il bello stile che mi ha reso celebre.




Vedi la belva che mi ha fatto voltare; aiutami da lei, famoso sapiente, poiché essa fa tremare ogni goccia del mio sangue».




«Tu devi compiere un altro viaggio,» mi rispose dopo avermi visto piangere, «se vuoi salvarti da questo luogo selvaggio.




Infatti, la belva che ti fa urlare non lascia passare nessuno per la sua strada, ma lo impedisce al punto di ucciderlo.



E ha un'indole così malvagia e malefica che non può mai soddisfare la sua bramosia, e dopo ogni pasto ha più fame di prima.



Sono molti gli animali a cui si accoppia, e saranno sempre di più, finché arriverà il cane da caccia (veltro) che la farà morire con dolore.



Costui non baderà alle ricchezze materiali, ma solo a quelle spirituali e la sua nascita avverrà tra feltro e feltro





Sarà la salvezza di quell'umile Italia, per cui morirono in battaglia Eurialo e Niso, Turno, la vergine Camilla.



Costui le darà la caccia per ogni città, finché l'avrà rimessa nell'Inferno da dove l'invidia (del demonio) la fece uscire per la prima volta.



Perciò io penso e giudico per il tuo bene che tu debba seguirmi, e io ti farò da guida; e ti porterò via di qui per guidarti in un luogo dell'Oltretomba, 


dove udirai le grida disperate e vedrai le antiche anime dei dannati, ciascuno dei quali invoca la morte definitiva.





E poi vedrai coloro che sono contenti di subire pene (i penitenti del Purgatorio), perché sperano un giorno di raggiungere i beati del Paradiso.




E se poi tu vorrai salire a visitare questi ultimi, allora ci sarà un'anima più degna di me per farti da guida: quando me ne andrò, ti lascerò con lei.



Infatti, quell'imperatore (Dio) che regna lassù, non vuole che io entri nella sua città, in quanto fui ribelle alla sua legge (fui pagano).



Dio ha autorità in tutto l'Universo e in Paradiso governa; qui c'è la sua città e il suo altro trono; oh, felice colui che sceglie per risiedere in quel luogo!»



E io gli dissi: «Poeta, in nome di quel Dio che non hai conosciuto e affinché io fugga questo male e altri peggiori, 



ti chiedo ti condurmi là dove hai detto, così che io veda la porta di San Pietro e coloro che descrivi tanto miseri».




Allora si mise in cammino, e io lo seguii.



Commento:

Un'angoscia mortale attanaglia l'uomo-Dante: nel pieno della maturità gli accade di sentirsi sbalzato in un mondo dai contorni stravolti, in cui domina la notte dell'anima. È come sognare un brutto sogno con la tragica consapevolezza che tutto è reale e non ci sarà alcun risveglio tranquillizzante. L'uomo è perso, non riesce a comprendere come sia finito in una situazione pressoché irrimediabile e cerca invano una via d'uscita.

Un barlume di speranza finalmente s'affaccia e sembra farsi consistente nel recupero di immagini positive, quando Dante riesce a scorgere in alto, sopra di sé, il cielo che si tinge di rosa. Il panico è dominato e il viaggiatore contempla l'oscurità sconfitta con lo stato d'animo di chi è miracolosamente scampato a un'insidia mortale. Ma si tratta di una vana illusione: pericoli ancor più gravi sovrastano e ricacciano l'uomo nella primitiva disperazione. Sono gli istinti indomabili, le passioni travolgenti che incalzano senza tregua.

La selva oscura incombe ancora sul capo del pellegrino. Le forze stanno per abbandonare Dante: l'uomo, solo con le sue angosce, crollerebbe se la voce della ragione, sebbene debole per essere stata troppo a lungo silenziosa, non si mostrasse nella figura del poeta Virgilio, accorso in suo aiuto. Assistito dalla Grazia divina, Virgilio è inviato da Dio a illustrare un percorso di conoscenza razionale, è la guida a cui affidarsi in totale abbandono filiale. Da lui Dante apprende come la lupa sia la belva feroce più pericolosa: animale non mai sazio, si lega, ammaliatore, a tanti uomini di potere e non. Occorrerà, per sconfiggerla, l'arrivo del veltro.

L'annuncio profetico (la profezia del veltro) placa Dante che, indotto ormai a sperare nell'appoggio di Virgilio, gli chiede di guidarlo nel lungo viaggio di conoscenza e di espiazione che lo condurrà alla pace. Il bene non si acquisisce di colpo, ma è dura e faticosa conquista: la consapevolezza è il premio di chi coraggiosamente si interroga e sinceramente si analizza. La lonza, simbolo della lussuria, il leone, simbolo dell'orgogliosa superbia che induce alla violenza, la lupa, emblema dell'avidità, esprimono in maniera tangibile la forza degli istinti e l'impossibilità di fronteggiarli senza strumenti adeguati. Questi appunto Dante deve forgiare e il viaggio che il poeta sta per compiere dentro le viscere della terra e nelle pieghe del suo inconscio è un percorso di autoconoscenza e purificazione, nella linea di una progressiva autonomia interiore. Capire il male è liberarsene e scoprire che, con tutte le sue allettanti attrattive, in realtà esso lega inesorabilmente l'uomo alla sua finitezza e ne decreta la perdizione. L'uomo nuovo, pertanto, dovrà nascere dalle lacrime e dalla sofferenza di quello vecchio che accetta di morire.



© 2021 Carlo Martinico
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