Canto XIII
I TEMI:
- Il suicidio
- L'invidia presso le corti
- Le accuse ingiuste
- Il disprezzo del corpo e dei beni
PECCATORI:
violenti contro se stessi nella persona (suicidi) e nelle sostanze ( gli scialacquatori).
PENA E CONTRAPPASSO:
I suicidi sono tramutati in piante stecchite e contorte che le Arpie dilaniano con i loro artigli: disprezzarono il loro corpo umano, ora hanno un corpo vegetale. Gli scialacquatori sono inseguiti da fameliche cagne che li sbranano quando li raggiungono: in via dilapidarono le sostanze, ora essi stessi sono smembrati
QUANDO?
Sabato 9 aprile 1300, all'alba.
DOVE?
cerchio VII, girone II. E' una selva di alberi contorti, secchi, senza foglie e senza frutti. Tra i loro rami si annidano le mostruose Arpie che lanciano cupi lamenti.
CHI?
- Dante
- Virilio
- Pier delle Vigne
- Anonimo fiorentino suicida , Lano da Siena, Iacopo da Sant'Andrea
.
Canto:
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato. 3
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco. 6
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno. 12
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani. 15
E ’l buon maestro: «Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone»,
mi cominciò a dire, «e sarai mentre 18
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone». 21
Io sentia d'ogne parte trarre guai e non vedea persona che 'l facesse; per ch'io tutto smarrito m'arrestai. 24
Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse. 27
Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’ hai si faran tutti monchi». 30
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 33
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno? 36
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi». 39
Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l’un de’ capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via, 42
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme. 45
«S’elli avesse potuto creder prima»,
rispuose ’l savio mio, «anima lesa,
ciò c’ ha veduto pur con la mia rima, 48
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece». 54
E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi. 57
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi, 60
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio, 66
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto. 72
Per le nove radici d'esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che ’nvidia le diede». 78
Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;
ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». 81
Ond’ïo a lui: «Domandal tu ancora
di quel che credi ch’a me satisfaccia;
ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». 84
Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia
liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87
di dirne come l’anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
s’alcuna mai di tai membra si spiega». 90
Allor soffiò il tronco forte, e poi
si convertì quel vento in cotal voce:
«Brievemente sarà risposto a voi. 93
Quando si parte l’anima feroce
dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,
Minòs la manda a la settima foce. 96
Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta. 99
Surge in vermena e in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra. 102
Come l’altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch’alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 105
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». 108
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111
similemente a colui che venire
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114
Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogne rosta. 117
Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: «Lano, sì non furo accorte 120
le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123
Di rietro a loro era la selva piena
di nere cagne, bramose e correnti
come veltri ch’uscisser di catena. 126
In quel che s’appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano;
poi sen portar quelle membra dolenti. 129
Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea
per le rotture sanguinenti in vano. 132
«O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,
che t’è giovato di me fare schermo?
che colpa ho io de la tua vita rea?». 135
Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo,
disse: «Chi fosti, che per tante punte
soffi con sangue doloroso sermo?». 138
Ed elli a noi: «O anime che giunte
siete a veder lo strazio disonesto
c’ ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141
raccoglietele al piè del tristo cesto.
I’ fui de la città che nel Batista
mutò ’l primo padrone; ond’ei per questo 144
sempre con l’arte sua la farà trista;
e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
rimane ancor di lui alcuna vista, 147
que’ cittadin che poi la rifondarno
sovra ’l cener che d’Attila rimase,
avrebber fatto lavorare indarno. 150
Io fei gibetto a me de le mie case». 151
Nesso non era ancora arrivato sull'altra sponda (del Flegetonte), quando noi ci incamminammo attraverso un bosco in cui non c'era nessun sentiero. Io credo che Virgilio credette che io credessi che tra quei cespugli uscissero tante voci, emesse da anime che si nascondevano da noi. Perciò il maestro disse: «Se tu spezzi qualche ramoscello da una di queste piante, i tuoi pensieri non avranno più ragion d'essere». Io sono colui che tenni entrambe le chiavi del cuore di Federico II, e che le usai così bene nel chiudere e nell'aprire che esclusi dai suoi segreti quasi tutti (divenni il suo più fidato consigliere): fui fedele al mio alto incarico, al punto che persi per questo la pace e la vita. La prostituta (invidia) che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore, e che è morte di tutti e vizio delle corti, infiammò tutti gli animi (dei cortigiani) contro di me; ed essi infiammarono a loro volta l'imperatore, al punto che i miei onori si trasformarono in lutti (caddi in disgrazia) E io a lui: «Domandagli tu ancora di quegli argomenti che credi possano interessarmi; io non potrei, tanto è il turbamento che provo».
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Commento:
Nel 13° canto i due poeti, Dante e Virgilio, si trovano 2° girone del 7° cerchio dell'inferno, nella selva dei suicidi. Arrivato in questa selva fittissima, sui quali alberi dimorano le Arpie, Dante sente da ogni parte voci umane lamentose e crede che le anime siano nascoste dietro gli alberi e i cespugli. Per chiarirgli le idee Virgilio lo invita a spezzare il ramo di un albero, e, facendolo, una voce esce dal|'albero lamentandosi dal dolore ed il ramo inizia a perdere sangue. Da qui il poeta capisce che in questo girone vengono puniti violenti contro se stessi e coloro che hanno sperperato il loro patrimonio. l violenti contro se stessi vengono trasformati in alberi e i loro rami sono straziati dalle Arpie, mentre gli scialacquatori sono costretti a correre tra gli alberi, per scappare da cagne che li Iacerano e li divorano. L'albero da cui Dante ha spezzato il ramo si presenta. E' Pier della Vigna, segretario e amico fidato di Federico ll che dopo esser stato accusato di V tradimento e incapace di vincere la vergogna preferì suicidarsi. Questo gli spiega che dopo il giudizio universale le anime di questo girone non si ricongiungeranno con il proprio corpo, ma questo verrà appeso al ramo di quegli alberi. Terminato il colloqui con Pier della Vigna Dante e Virgilio vengono sorpresi da due anime: Lano da Siena e Iacopo da Sant'Andrea; questi essendo degli scialacquatori, sono in fuga da delle cagne che li inseguono affamate. Iacopo tenta disperatamente di nascondersi in un cespuglio, ma le cagne lo raggiungono e lo squartano. I due poeti si avvicinano a quel cespuglio che era stato lacerato, sentendo i lamenti di un altro personaggio che si presenta come un suicida Fiorentino che si era tolto la vita nella propria casa. ln questo canto abbiamo la presenza delle Arpie, paradossalmente mostri della mitologia pagana che Dante trasformano in demoni. Nei versi 76 - 78, Pier della Vigna riscatta la propria memoria al mondo terreno, questo ci fa capire come le anime dannate si aggrappassero alla vita terrena che era vista come orizzonte positivo e spesso si aggrappano a Dante per non morire del tutto. ll suicida fiorentino può essere visto come simbolo della città di Firenze, che continua a martoriarsi nelle guerre civili.