Canto V


TEMI:

 La struttura dell'Inferno, l'amore terreno.

PECCATORI: 

I lussuriosi: sono coloro che si sono abbandonati alle passioni dei sensi, sottomettendo la ragione alla ricerca del piacere.

PENA: 

Sbattuti e trascinati nei vortici della bufera, piangono e bestemmiano. Non seppero resistere alle furie della passione, ora non possono opporsi alla bufera che li trascina.

Contrappasso: per analogia, ovvero la pena è l'equivalente del peccato commesso


QUANDO?

Venerdì santo, 8 aprile 1300, ultime ore. 

DOVE?

Cerchio II. È una landa oscura, battuta da violente raffiche di vento, la bufera infernale. 

CHI?

Dante, Virgilio, Minosse, Paolo Malatesta, Francesca da Rimini, Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. 


Canto

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio. 3


Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia. 6


Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata 9


vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12


Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte. 15


«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio, 18


«guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride? 21


Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». 24


Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote. 27


Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto. 30


La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. 33


Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina. 36


Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento. 39


E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali; 42


di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena. 45


E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai, 48


ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?». 51


«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle. 54


A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta. 57


Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge. 60


L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa. 63


Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo. 66


Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille. 69


Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72


I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri». 75


Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78


Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!». 81


Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate; 84


cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido. 87


«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90


se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso. 93


Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace. 96


Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui. 99


Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102


Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona. 105


Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte. 108


Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». 111


Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!». 114


Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117


Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?». 120


E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. 123


Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126


Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129


Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132


Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135


la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante». 138


Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade. 142


Parafrasi

Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi.     


Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda.


Dico che quando l'anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione; e quel conoscitore dei peccati stabilisce in quale zona dell'Inferno debba andare;


 si cinge con la coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere.


Davanti a lui ci sono sempre moltissime anime; una dopo l'altra vanno a sottoporsi al suo giudizio; parlano e ascoltano, poi sono precipitati giù.


E Minosse, quando mi vide, mi disse questo, tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore
» disse Minosse quando mi vide, cessando temporaneamente l'esercizio di un compito tanto importante,


«bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità dell'ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare?


Non impedire il suo viaggio voluto da Dio: si vuole così in Cielo, dove è possibile tutto ciò che si vuole, quindi non dire altro».


Ora inizio a sentire le note dolenti; ora sono giunto in un luogo dove molta sofferenza mi colpisce.


Io giunsi in un luogo totalmente buio, che risuona come il mare in tempesta quando soffiano venti contrari.


La bufera infernale, che è incessante, trascina rapinosamente le anime; li tormenta sbattendoli e percuotendoli.


Quando arrivano davanti alla rovina, allora emettono urla, pianti, lamenti; qui bestemmiano Dio.



Capii che a questa pena sono dannati i peccatori di lussuria, che sottomettono la ragione al piacere.


E come d'inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali, formando una larga schiera, così quel vento trasporta gli spiriti malvagi;


li trascina qua e là, su e giù; non hanno alcuna speranza che li conforti, né di riposo né di una diminuzione della pena.


E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando 


delle anime, trasportate da quella tempesta; allora dissi: «Maestro, chi sono quelle anime castigate così dalla oscura bufera?»


«La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli.


Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava.



Ella è Semiramide, di cui si legge che fu sposa di Nino al quale poi succedette: governò la terra che ora è governata dal Soldano.


L'altra è colei che si suicidò per amore (Didone), e non tenne fede alla memoria del marito Sicheo; poi c'è la lussuriosa Cleopatra.


Vedi Elena, per cui si combatté una lunga e sanguinosa guerra, e vedi il grande Achille, che combatté a scopi amorosi.



Vedi Paride, Tristano»; e mi indicò col dito più di mille anime, che morirono a causa dell'amore.


Dopo aver sentito il mio maestro nominare le donne antiche e i cavalieri, fui presto da turbamento e quasi mi smarrii.


Cominciai: «Poeta, parlerei volentieri a quei due che volano insieme e sembrano essere trasportati tanto lievemente dal vento».


Mi rispose: «Aspetta quando saranno più vicini a noi: allora pregali in nome di quell'amore che li trascina ed essi verranno».ù



Non appena il vento li portò verso di noi, iniziai a parlare: «O anime affannate, venite a parlarci se Dio ve lo consente!»


Come le colombe chiamate dal desiderio volano verso il dolce nido (per accoppiarsi), con le ali ferme e alzate, portate dal desiderio,


 allo stesso modo i due uscirono dalla schiera di Didone, venendo a noi attraverso l'aria infernale, tanto forte e affettuoso fu il mio richiamo.


«O creatura cortese e benevola, che nell'aria oscura visiti noi che tingemmo il mondo di sangue, 


se il re dell'universo ci fosse amico lo pregheremmo perché ti dia pace, visto che mostri pietà del nostro terribile male.



Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che volete, mentre il vento tace come fa in questo punto.


La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti.


L'amore, che si attacca subito al cuore nobile, prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il modo ancora mi danneggia.


L'amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza di costui con tale forza che, come vedi, non mi abbandona neppure adesso.


L'amore ci condusse alla stessa morte: Caina attende colui che ci uccise». Essi ci dissero queste parole.



Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine Virgilio mi disse: «Cosa pensi?»


Quando risposi, dissi: «Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio portarono questi due al passo doloroso!»


Poi mi rivolsi a loro e parlai dicendo: «Francesca, le tue pene mi rendono triste e mi spingono a piangere.



Ma dimmi: al tempo della vostra relazione, in che modo e in quali circostanze Amore vi concesse di conoscere i dubbiosi desideri?»


E lei mi disse: «Non c'è nessun dolore più grande che ricordare il tempo felice quando si è miseri; e questo lo sa bene il tuo maestro.


Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere l'origine del nostro amore, allora farò come colui che piange e parla al tempo stesso.


Un giorno noi leggevamo per svago il libro che narra di Lancillotto e di come amò Ginevra; eravamo soli e non sospettavamo quel che sarebbe successo.


Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a sopraffarci.


Quando leggemmo che la bocca desiderata di Ginevra fu baciata da un simile amante, costui, che non sarà mai diviso da me,


 mi baciò la bocca tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse; quel giorno non leggemmo altre pagine».


Mentre uno spirito diceva questo, l'altro piangeva, così che io venni meno a causa del turbamento, proprio come se morissi. E caddi come un corpo privo di vita.



Commento:

Una violenta bufera di vento travolge le anime e Dante, che ha appena incontrato Minosse, il mostruoso giudice infernale, viene immerso nel mezzo della tragedia dell'Inferno. Il buio e le urla non danno scampo come non lo dà all'uomo il piacere dei sensi, quando è troppo forte per essere tenuto sotto controllo. Dante subito chiarisce la sua posizione: in questo cerchio si trovano i lussuriosi, cioè coloro che la ragion sommettono al talento (= che fanno prevalere l'istinto sulla ragione). Ma questo talento esercita un malioso fascino sul poeta, che pure è consapevole che esso conduce alla perdizione. Di fronte al trascorrere della schiera dei peccatori, dove intravede diversi personaggi mitici, Dante sente una profonda pietà. Anch'egli forse ha conosciuto il talento, la passione carnale, comunque ha subito la seduzione di quegli appetiti terreni che danno piacere all'esistenza ma che la perdono irrimediabilmente quando diventano incontrollabili: così Didone si suicida disperata dopo l'abbandono di Enea, Cleopatra si lascia avvelenare dall'aspide e muore prima di essere catturata dai Romani, Tristano viene ucciso dal marito tradito della sua Isotta tragicamente amata. Tra i vari personaggi ricordiamo anche: Elena, Achille, Paride e Semiramide.

Dante coglie dell'amore tutta l'energia misteriosa, il tremendo potenziale capace di trasformare l'uomo in un essere felice e appagato o di annientarlo completamente. Eros, nel mito classico, era il dio temuto dallo stesso Giove; le sue frecce infatti producevano una ferita insanabile: bene lo seppe la giovane Medea che, in questo modo, si innamorò perdutamente di Giasone.

L'amore non dà tregua, non conosce pause, impone il suo dominio. Possessivo e travolgente, come una bufera investe l'esistenza e l'esito di questo turbinio è del tutto incerto. "Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto": così narra Francesca, l'infelice dannata con cui Dante viene a colloquio, lei che, poco dopo, rivela come l'amore che l'ha travolta insieme con Paolo sia nato proprio da quel momento di inquietante piacevolezza. Eros ha avuto il sopravvento e ha annebbiato ogni ragione. Dove sono finiti i sacri patti delle nozze, dove il divieto, consolidato nel tempo, di un amore che sorge fra le stesse pareti domestiche?

L'amore non conosce regole né convenzioni ma solo l'intensità misteriosa che attrae due vite. Dante riflette sull'amore e si domanda come possa essere potenzialmente distruttiva una forza così intrinseca alla natura umana, tanto che l'uomo che non ama non solo è infelice ma anche turbato nel suo equilibrio emotivo.

Il poeta scopre che l'amore-passione dei lussuriosi è solo un aspetto dell'amore, il più immediato e istintivo, ma anche il più fragile, perché non sottoposto al controllo della ragione. L'amore come trasgressione affascina Dante, che tuttavia è in grado di riconoscerne i limiti etici, e la sua pietà per i due spiriti condotti alla morte è così alta che sviene.


© 2021 Carlo Martinico
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